Tratto dal libro “Naturopatia Olistica: dalle origini all’epigenetica” Edizioni LUMEN
[/headline]Lo stato di benessere rispecchia una situazione di armonia dell’insieme prodotta dalla sana relazione tra le parti, siano esse cellule, organi, funzioni o “piani” (fisico, emotivo, mentale e spirituale), mentre il malessere indica una situazione di disequilibrio tra gli stessi.
Da quanto detto si può dedurre che è possibile avere un sintomo, fisico o emotivo che sia, e percepire una condizione di malessere o, viceversa, di benessere perché lo stato globale può, anche se disturbato da un piccolo disagio, essere rilevato come positivo, una sorta di bilancio in cui domina il benessere anziché il malessere.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi, l’individuo è così focalizzato su “ciò che non va” o “su ciò che duole” che non riesce a percepire la positività del suo bilancio.
Immaginiamo una situazione specifica:
il sig. Mario è in salute, sta facendo nella vita il lavoro che gli sta a cuore, ha una buona relazione con la moglie, ha due figli in salute che amano la scuola, vive in una casa di proprietà calda e comoda, in un paese poco inquinato. Sopra di lui abita la signora Lucia che sbatte la tovaglia dalla finestra e riempie di briciole il loro balcone, Mario è turbato da questa situazione che non riesce a risolvere, da anni, fatica a dormire, è teso e nervoso e ha sviluppato una forma d’inappetenza quando mangia in casa.
Avere una vicina di casa poco rispettosa o avere l’herpes simplex labiale possono essere considerati stati di malessere oggettivi?
Non è per forza cosi: la capacità di vivere queste situazioni, d’integrarle nella vita, di vederle come possibilità per un miglioramento personale, può creare un benessere addirittura maggiore di quanto fosse prima del fatto. Saper trarre il meglio dalle situazioni e sentirsi in armonia con il contesto in cui si vive rappresentano quindi anch’essi indici di un buono stato di essere, e pertanto di benessere.
Il benessere non dipende, quindi dall’assenza di disagi e sofferenze ma dalla capacità d’interagire in modo sano con esse, dal non sentirsi vittime della situazione e dalla possibilità di saper cogliere l’opportunità nella difficoltà.
Al contrario, la difficile sintonia con il proprio vissuto interiore, l’espressione disarmonica del proprio potenziale e l’interazione sofferente con gli altri sono segni che indicano uno stato di momentaneo malessere. Detto ciò, rimane da chiedersi: un bambino che piange esprimendo il suo disagio del momento è indice di malessere? E, viceversa, un adulto che, per evitare di mostrare la propria sofferenza, crea uno “scudo”, comportamentale o fisico, indica uno stato di benessere?
Sono convinta che non vi siano dubbi nell’affermare che non è così: il bambino capace di esprimere naturalmente ciò che prova è un bambino in salute diversamente dall’adulto che, soffocando ciò che vive intimamente, mette in luce il suo malessere.
Lo stato dell’essere di un individuo è rappresentato dalla sua capacità di vivere che, a sua volta, aiuta l’essere a crescere in modo armonico.
A tale proposito, per esempio, il vissuto particolarmente sofferente che precede o segue una piccola prova, come un esame o una mansione lavorativa, può divenire un indicatore dello stato dell’essere di una persona. La reazione a tale stimolo potrebbe essere diversa: c’è chi si deprime e non crede di riuscire, si chiude e rifugge la sfida, chi invece si adopera per trovare ciò che gli manca. In concomitanza alle differenti reazioni comportamentali, a livello fisiologico, si produce una precisa “chimica” corrispondente alla specifica reattività.
Chi si è impegnato per superare le proprie difficoltà e ha fatto il possibile per riuscirci sarà soddisfatto, sereno e nutrito dai propri sforzi, aggiungerà “mattoni esperienziali” alla crescita del proprio essere e alla costruzione del proprio benessere.
Al contrario, chi cerca soluzioni all’esterno di sé, che assume pastiglie di vari colori o rimedi di ogni sorta, non generando una condizione psicofisica di benessere, rinuncia a conquistare nuove capacità, lotta per evitare l’esperienza e, così facendo, nutre lo stato di malessere. La mancata elaborazione del problema, il suo non ascolto e il rifiuto, lasciando inalterati i presupposti, pongono le basi per la complicazione dello stesso, per il suo sviluppo o per la creazione di nuovi disagi.
Fare massaggi o cercare d’isolarsi dalla quotidianità per qualche ora, nonostante siano ottimi strumenti capaci di supplire alla necessità di modificare la propria reattività e le proprie abitudini, rimangono metodi per compensare situazioni tensive di varia natura e non rappresentano la soluzione.
Porsi delle domande è forse il primo passo per una vita in salute.
- Quali sono gli obiettivi nella mia vita?
- Quanta la capacità di trovare soddisfazione nel mio fare quotidiano?
- Quant’è la gratitudine per i doni ricevuti?
- Quanta la stima per ciò che sono?
- Quanto rispetto gli altri?
- Come vivo le relazioni?
- Domina il mio sentirmi vittima o il sentirmi dominatore?…
Maggiore è la condivisione e il saper vivere con gli altri, minore la separazione e l’isolamento; maggiore il senso sociale e la consapevolezza di essere parte di un insieme, minore la depressione e l’avidità; maggiore la separazione dal tutto, minore la soddisfazione profonda; maggiore la presa di responsabilità, minore la sofferenza senza soluzioni; maggiore la sensazione di essere fortunati, minore la frustrazione; maggiore il desiderio di ciò che non ho e di ciò che non sono, minore la voglia di vivere… proseguendo in questa direzione, risulta evidente che lo stato di malessere o benessere non è la diretta conseguenza di un disturbo isolato, ma, al contrario, la risultante dell’incapacità di vivere.
Il rapporto tra capacità di vivere e malessere è inversamente proporzionale, maggiore la capacità di vivere e maggiore lo stato di benessere, indipendentemente da chi si è, da dove si è, dai sintomi che si presentano, da ciò che si possiede e da ciò che si fa.
Con Amore,
Milena